La pittura dell’avvenire
Giornale non identificato, 30 agosto 1924, pubblicato in Simonetta La Barbera, Pippo Rizzo, Palermo, I. I. a Palma, 1975, pp. 125- I 26, in Sergio Troisi a cura di, Pippo Rizzo, Palermo, Sellerio, 1989. pp. 54-55 e in Anna Maria Ruta a cura di, Pippo Rizzo. Un nomade nell’arte del Novecento – A wonder, Eidos, 2006 pp.236-238.
Il quadro in avvenire non esisterà più, sarà abolito. Non s’illudano i giovani pittori moderni e non facciano assegnamento sulle loro opere da tramandarsi al futuro per averne la valorizzazione che sperano. Carte o meglio la pittura dell’avvenire subirà della trasformazioni radicali sotto tutti gli aspetti. Quando vi dirà che i presenti pittori, i giovani pittori, che tuttora si scervellano e si torturano l’anima per creare un’arte originale, facendo mille tentativi (parlo dei veri, autentici artisti), sono gli ultimi pittori di questo secolo, credo di non aver affatto esagerato se si pensa che la pittura moderna ha raggiunto tutta l’espressione dell’arte, dal verismo crudo e brutale, alle più assurde manifestazioni cerebrali, chiudendo il suo ciclo nella maniera più completa. Quindi ritorno «all’antico» niente. Non esisteranno più i pittori, non perché non saranno degli ingegni o delle genialità vere, ma perché l’attività della vita svolgentesi tra i motori e ‘elettricità, trasformerà ed adatterà il nascente pittore ai bisogni della vita E il quadro non sarà un bisogno della vita, Tutta l’arte si ridurrà nell’arredamento dell’ambiente e in una semplice decorazione astratta. Esisterà l’arte applicata alle industrie. L’umanità non avrà più il tempo di guardare un paesaggio o un quadretto di genere, poiché la velocità della vita assorbirà il tempo e lo spazio.
Le piccole e arieggiate stanze che ancora oggi si fabbricano, non potranno accogliere più il quadro di 4 o 5 metri, né il pannello decorativo o la piccola impressione, ma avrà nel mobilio, nella tappezzeria, in tutto l’arredamento una così fantasiosa decorazione che darà una sensazione superiore a quella che può dare il quadro isolato sulla parete.
Il quadro sarà compenetrato nei mobili ed avrà un carattere assolutamente decorativo. Un mobile, un tavolo, una sedia daranno la stessa emozione del quadro, poiché la forma e il tipo del mobilio che si creerà nell’avvenire non risentirà lontanamente di quello presente e tanto meno di quelli passati. Già all’esposizione di arti decorative a Monza abbiamo avuto delle sale completamente nuove, mobili e arredamenti originalissimi e da queste forme d’arte l’artista ultrasensibile e ultraintuitivo potrà avere una lontana idea dell’ambiente futuro. Il quadro in avvenire sarà abolito perché non darà nessuna emozione se si pensa che i dirigibili e gli aeroplani avranno una decorazione semplicemente fantastica. È inutile pensare che un metro di tela, o più, possa far commuovere l’uomo che nascerà fra le macchine. L’arte fino ad oggi ha recato emozione per la grande statica che ha dominato sulla vita ed ha superato la natura e l’uomo, domani però le macchine e i motori supereranno tutto e tutti compresa l’arte, che sarà dominata dal grande palpito dei motori. Ecco perché non vi saranno più autentici artisti come noi la intendiamo, che meditano tutta la loro vita sulla loro anima travagliata e corrono verso le passioni umane e spirituali le quali dovranno far scaturire l’immagine della loro arte. L’arte si industrializzerà come non si è mai industrializzata. L’arte diventerà movimento, dinamismo, elettricità, motore, e non sarà una cosa statica ma sarà applicata alle necessità della vita. Questo periodo di transizione che attraversiamo nell’arte, questa lotta del nuovo contro il vecchio è per ora il fermento quotidiano di questa affannosa ricerca dei pittori-moderni. Qualunque cosa possano dire i critici o i pedanti che gridano: ritorniamo all’antica! io debbo dichiarare al pubblico intelligente, ai miei colleghi, a tutti gli intenditori d’arte, ai vecchi artisti rimasti nella muffa della loro epoca, che l’arte non potrà più ritornare indietro e che l’unica arte che avrà impulso nell’avvenire, sarà quella in parte attinta dal movimento futurista. Non gridate su questo nome! Oggi più che ieri potrà riconoscersi il grande bene che questo movimento innovatore ha fatto nell’arte e se abbiamo una letteratura completamente nuova che non puzza di polvere o di biblioteca, e abbiamo un teatro pieno di vita, se abbiamo una pittura che ci riempie gli occhi e il cuore di gioia lo dobbiamo soltanto al movimento futurista. Io non voglio farvi l’apoteosi del Futurismo, né la vecchia spiegazione del suo grande movimento. Soltanto vedo che quell’arte potrà esistere ed ampliarsi in avvenire essendo più vicina al progresso di tutte le altre espressioni d’arte e la sola decorazione astratta sarà l’unica espressione della pittura dell’avvenire. Un salotto futurista, una camera a dormire, uno studio non avranno nessun rapporto con i nostri ambienti. L’arte fino ad ieri supplì alle manchevolezze della natura e recò agli uomini una dolce emozione momentanea. Domani la vita sarà tutta elettrizzata e macchinizzata, sarà veloce, assordante, e gli uomini che avranno la fortuna d’esserci, educati a questa vita dinamica, proveranno una gioia più grande trovandosi nella cabina di un dirigibile decorato fantasticamente, anziché seduti in un salotto e guardare un quadro appeso ad una parete. È noto a tutti noi che le tendenze emotive dell’uomo sono per il progresso e si è trascinato inconsapevolmente là dove la vita è all’ultimo suo stadio. Alcune cose che ho citato sopra, un giorno non lontano furono annunziate da alcuni futuristi e senz’altro furono calunniate da quella parte del pubblico che non capisce né il passato né il presente, oggi invece non si vede più l’impossibilità d’attuazione di queste cose dell’avvenire, ma si discutono e si polemizzano. Il pubblico più intelligente (e questo è poco) le ammette senz’altro.
È necessario penetrare nell’intimo della vita per potere intravedere l’arte futura. Negare la trasformazione totale che subirà l’arte dell’ avvenire è negare l’esistenza della forza elettrica. L’arte non può rimanere quale essa è o ritornare indietro, è infantile pensarlo. Le biennali veneziane, le quadriennali, le promotrici, tutte queste esposizioni accoglieranno semplicemente i nuovi macchinari dell’avvenire.
La pittura servirà in parte per decorare gli ambienti dove questi motori pulseranno. Soltanto le grandi reclams luminose, i placards, le illustrazioni sempre influenzate dal movimento della vita, avranno materiale da svolgere, poiché la reclame è un mezzo straordinario di diffusione, ed è continuamente a contatto con il pubblico.Ma che in avvenire ci saranno delle persone che avranno il desiderio di farsi fare un paesaggio o un quadro di genere, stento a crederlo. L’avvenire sarà per il motore.
Pippo Rizzo
Giovani artisti
Manoscritto, probabilmente del 1927, pubblicato per la prima volta in Anna Maria Ruta, Arredi futuristi, Palermo, Novecento, 1985, p. 146.
L’unica classe che ha sempre taciuto è stata la vostra. La fede infinita per l’arte ha sorpassato il materialismo della vita, le partigianerie, le sopraffazioni sociali e vi ha elevato nelle più alte vette dello spirito. Fino a ieri avete sofferto tacendo, vi siete rassegnati alla sofferenza aspettando il domani. Avete dato alla patria tutto, il braccio e l’ingegno, nulla vi resta. Oggi è venuto anche per voi il vostro turno, Tutti vi abbandonano. Giovani artisti: Ribellatevi! L’ingegno unito alla forza vincerà ogni ostacolo che vi circonda. Voi siete le speranze grandiose dell’Arte Italiana, voi siete l’avanguardia dell’Arte voi siete gli arditi dell’Arte, i dinamici dell’Arte. Voi date, alla Patria la cosa più grande che fin dalle origini onora gli Italiani: l’Arte. Voi soffrite. Ribellatevi.Voi imprecate. Ribellatevi. I silenzi romantici sono tramontati, la vita vi suggerisce la ribellione. La vita vi impone di correre più che star fermi.
Nella lotta tenete duro, non indietreggiate. Quello che non potrete ottenere con la parola lotterete con la forza. Alzate fieri la fronte, non piegatevi più a nessuno e guardate minacciosi chi cerca di sopraffarvi. Il nostro giornale propugnerà la vostra causa con tutti i mezzi. Guai ai vigliacchi. Guai a coloro che si ricrederanno domani. Il coraggio dev’essere il pane quotidiano nostro. È venuto il nostro turno.
Manifesto del Gruppo artistico di Palermo
«II Popolo di Sicilia», Palermo, I-14 maggio 1927, poi pubblicato in Anna Maria Ruta, Arredi futuristi, Palermo, Novecento, 1985, p. 146.
Da Palermo sorge il grido ribelle dei giovani artisti, i quali si fanno iniziatori di un movimento che deve valorizzare le giovani energie del nostro paese e si costituisce un gruppo artistico siciliano. Fino a ieri il senso dell’apatia ha dominato in questa Palermo schiava della sistematica e vecchia lotta dei vecchi contro i giovani, lotta ingiustificata, irragionata, tradizionale. Noi romperemo la tradizione, noi lotteremo contro coloro che vorranno ostruire la via tracciata e costituendo questo gruppo d’avanguardia sosterremo la lotta con tutti i mezzi. Non abbiamo né motto, né parola d’ordine, non cercheremo camarille locali, né grandi associazioni, siamo soli e pochi, abbiamo soltanto una fede infinita nell’arte; la nostra giovinezza la metteremo senza misura per sostenere la lotta dell’arte e della vita perché noi intendiamo vivere. I soprusi, le umiliazioni debbono da oggi cessare. L’avvenire è dei giovani audaci, coloro che non lo sono peggio per loro, coloro che amano e che sperano dai giovani non possono accogliere il nostro grido con indifferenza. Noi propugniamo i nostri diritti presso il Governo, Municipio, Autorità locale e l’aiuto degli enti privati. Fino ad ieri si è vissuto nel mutismo più perfetto causato dalla grande vigliaccheria locale e da un senso di schiavitù artistica ipocrita. Oggi noi laceriamo il velo dell’ipocrisia e ci avanziamo senza maschera sulla ribalta della vita per lanciare il grido di ribellione. Questo abbandono completo per i giovani artisti deve inesorabilmente cessare. Domandiamo tante cose, vogliamo tante cose e siccome c’è la possibilità di averle, metteremo in ballo la parola e il pugno.
II municipio deve stabilire:
I) Gli studi ai giovani artisti;
2) Viaggi d’istruzione in Italia e all’estero;
3) Le borse da studio che una volta erano in vigore;
4) Un pensionato artistico siciliano per la pittura, scultura,
architettura, decorazione, musica e i vincitori per referendum
popolare inviarli a Roma;
5) Concorsi per qualunque opera pubblica;
6) Sussidi speciali per i giovani che non hanno i mezzi di avere
materiali artistici.
Al Governo domandiamo soprattutto:
Una triennale periodica come Venezia, Roma, Napoli. Riconoscere ufficialmente il nostro gruppo artistico siciliano per avere un’eco in tutte le mostre nazionali e internazionali e ottenere in ciascuna mostra almeno una sala per i giovani artisti sicillani. Agli enti locali e alle altre autorità domandiamo pure il loro aiuto… rivolgiamo questo nostro pensiero a tutti coloro che amano l’arte e tengono a cuore la Sicilia. La lotta sarà per noi l’alimento giornaliero della nostra vita, vivremo nella lotta, ci tufferemo nella lotta sostenendola col pensiero e il pugno.
Ascesa luminosa della plastica futurista (Risposta a Giovanni Filipponi)
«Il futurismo chi l’ha capito l’ha capito e chi non l’ha capito non lo capirà più».
Parole pronunziate da F.T. Marinetti a Roma in uno dei suoi più celebri discorsi. Con ciò intendeva dire che non tutti sono nella possibilità di capire il futurismo ma per comprendere il suo spirito novatore occorre una spiccatissima sensibilità, una larghezza di vedute illimitata, una vera comprensione per la vita moderna.
Coloro che hanno veramente trovato il terreno favorevole per sviluppare le proprie attività artistiche sono stati i giovani perché il futurismo, caro Giovanni Filipponi, è l’arte dei giovani e non dei vecchi i quali non potranno mai staccarsi dalle loro abitudini, dalle loro sistematiche maldicenze, dal loro pessimismo, fulcro vivente della loro vita.
E come arte di giovani, il futurismo odia la filosofia, le frasi celebri tradizionali che in arte non hanno ragione d’esistere.
Il discorso pronunciato dal professore Giovanni Filipponi al Circolo Artistico di Palermo tendeva a dimostrare come il Futurismo nulla o quasi ha rinnovato, non lascia un’opera d’arte grande ma «qualche traccia accettabile nella decorazione degli ambienti in cui viviamo».
Certo che gli effetti di innovazione che il futurismo ha portato, non può il Filipponi constatarli a Palermo, città nella quale l’arte arriva un secolo dopo, ma se ogni anno visiterà le più importanti esposizioni d’arte esistenti in Italia potrà ricredersi indubbiamente e constaterà il rinnovamento avuto nelle arti figurative.
In quanto alle arti applicate tu sai, caro Filipponi come il Futurismo ha creato cose mirabili, straordinarie opere d’arte e me l’hai più volte affermato personalmente nelle varie discussioni fatte, quindi non è «qualche traccia accettabile» ma è «un mondo nuovo» che il Futurismo lascia.
Ricordati che a Parigi alla mostra delle arti decorative i futuristi italiani ebbero i più importanti premi e Parigi non è Palermo in materia d’arte!
È facile dire che il Futurismo nulla ha portato o aggiunto al patrimonio artistico quando non si è al corrente dalla vera attività artistica internazionale e si parla di Kokotska come di un pittore cosi… così… mentre occorrono occhi geniali e moderni per ammirare l’opera di questo grande artista o si parla di Boccioni, perché è morto e non può scagliarsi contro coloro che vivo lo denigrarono.
Noi futuristi non dimenticheremo mai la figura di Boccioni, anzi essa ci guiderà sempre verso nuove battaglie e nuove vittorie e saranno le vere vittorie poiché ottenute dopo violente battaglie contro una moltitudine superiore alla nostra.
Dopo tante e attivissime manifestazioni futuriste mi si parla ancora dei triangoli, dei trapezi, del cavallo in corsa, tutta roba superata, tentativi primissimi della plastica futurista. Oggi però il Futurismo ha dato tanti nuovi mondi inesplorati che fanno pensare al vero divenire dell’arte.
II Filipponi ha asserito che la pittura il più delle volte ha il compito di «ridurre in pochi centimetri di tela le lontananze della terra e del mare e… » compito che io credo inutile abbia oggi un artista se questo l’ha precisamente una buona macchina fotografica che ci riprodurrà anche a colori tutto ciò che a noi farà comodo.
Ma tu sai, caro Filipponi, che la natura non è che un grande vocabolario nel quale tu trovi le parole adatte per compilare il tuo pensiero e l’arte non ha nulla a che fare con la rappresentazione ottica della natura e il mestiere non è l’arte. Il celebre Cezanne caposcuola francese che rivoluzionò la pittura francese lasciava abbandonati in campagna i quadri, gli studi dove riproduceva «le lontananze della terra e del mare» che per lui non avevano nessuna importanza. Più tardi produsse un’arte così grande da essere seguito da un numero così svariato di pittori di tutte le nazioni che gli sono andati dietro e tra i quali il tuo Soffici in alcuni paesaggi. Però sono sicuro che se tu vedessi le opere di Cezanne non tanto facilmente ti piacerebbero.
L’arte di Cezanne come quella di Picasso è un’arte evoluta e superata dal Futurismo che il grande scomparso «Boccioni» nel suo importantissimo volume dimostrò.
È da ingenui il dire ancora dopo tante manifestazioni futuriste di grande importanza, dopo l’entrata ufficiale nella XV Esposizione Veneziana, che nulla si è
creato e che i triangoli, i rombi, i trapezi sono il ripetersi continuamente delle opere futuriste. Tutto ciò non è vero. I singoli futuristi italiani hanno una personalità spiccatissima, inconfondibile. Depero non si confonde con Balla Prampolini con Dottori Tato con Pannaggi ecc… e per essere più preciso e perché Filipponi si ricreda (poiché è ancora in tempo) accennerò rapidamente alle tendenze dei singoli artisti futuristi. Da Boccioni creatore del Dinamismo plastico passiamo a Balla che sfonda abissi misteriosi attratto dalle conseguenze astratte, creatore degli stati d’animo. Depero vi porta in un mondo nuovo coloratissimo gioioso pieno di sorprese. Prampolini con la sua arte meccanizza l’universo. Pannaggi ubbidisce ai principi costruttivi e a questa categoria appartengono Azari, Paladini, Maino, Fillia. Tato ha saputo trovare nuovi motivi di composizione sulla guerra e sulle masse del popolo e riassume il ritmo plastico e cromatico dell’anima delle folle. Balestrieri «autore del celebre Beethoven» si è rivelato futurista creatore di nuove armonie cromatiche, visioni liriche, e trascendenze meccaniche. Nelle opere di tutti questi artisti, caro Filipponi, non incontri due che si somigliano sia come concezione, che come costruzione di quadro e se conosci questi artisti semplicemente dalle riproduzioni monocrome mi dispiace tanto. Bisogna vedere da vicino le opere di questi artisti e conoscere tutta la loro attività. Nel tuo discorso lirico, poetico, letterario, romantico non ho trovato nessuna coerenza con l’elogio fattomi per il mio quadro «Alalà» esposto a Villa Gallidoro o «I lampi» alla Biennale di Venezia. Poi vorrei dire con l’abituale franchezza che distingue i futuristi, che quando si vuole abbattere e contrastare il Futurismo occorre senz’altro contrapporre opere di artisti di cui passatisticamente vale la pena d’occuparsi. Avrei capito la tua dissertazione sul Futurismo se avessi inaugurato la mostra di Spadini o di Casorati o di Fattori. Ma purtroppo, caro Filipponi, vedendo la mostra che tu hai inaugurata viene di gridare a squarciagola: «VV il Futurismo!» La nostra città purtroppo in materia d’arte è assai limitata e noi giovani dobbiamo constatare a malincuore che i progressi sono lenti ed aspri e parlo dei giovani futuristi e non futuristi. Diceva bene il critico d’arte del «L’Ora» che i dipinti di Rocco Lentini si presterebbero per formare un album illustrativo di Venezia o per farne una piccola guida della Sicilia. L’arte non è superficialità né mestiere e il dire che un paesaggio si faccia in mezz’ora, o in un anno non ha nessuna importanza, l’arte deve comunicare sentimenti nuovi, deve sapere astrarre, trasportare, vivere una vita superiore ed è per questo che noi futuristi lottiamo continuamente perché ci sentiamo, più dei passatisti, legati a Giotto e Michelangelo non essendo la nostra arte superficiale ma profondamente umana e che pochi ed eletti spiriti superiori sono in grado di apprezzarla e sentirla. Diamo uno sguardo fuori dell’Italia e vediamo come il futurismo abbia avuto un più largo sviluppo fino a diventare arte di stato nella Russia. Occorre guardare un po’più lontano dalla punta del naso per accorgersi che tutto il mondo non è la nostra casa ma che al di là di questa il fatto polemico sul Futurismo è sorpassato da un pezzo mentre opere importanti hanno preso un più ampio sviluppo. Una valutazione più ampia e più dettagliata, se lo spazio me lo consentisse, potrebbe illustrare nuovi valori tecnici e formali della realtà verso la valutazione plastica architettonica, cromatica, spaziale del nuovo mondo cromatico, meccanico, concreto e astratto, fisico e spirituale. Il Futurismo italiano tocca mete più alte affermandosi all’avanguardia dei valori spirituali d’oggi con sincerità e fede e le battaglie che abbiamo combattute fino ad oggi con tutte le nostre vigorie, sono battaglie di italianità vivificate da una fede che ci condurrà sempre più oltre.
Lo stile futurista
«Giornale di Sicilia», Palermo, 4-5 aprile 1927.
La nostra vita moderna piena di grandi invenzioni, le grandi metropoli intessute di elettricità, la pulsante attività industriale, il fermento continuo dei porti, delle officine, il rapido e grandioso sviluppo dei mezzi aerei, la flessibile corsa degli uomini verso gli affari, i grandi rinnovamenti politici tutte queste cose hanno fatto sviluppare sempre più lo stile futurista, e si dica una volta per tutte, lo stile futurista è stile giocondo, luminoso, meccanico, colorato, fantastico, italiano soprattutto. E se stile italiano si vuoi cercare oggi attraverso le reminiscenze neoclassiche primitive, impressioniste ecc. semplicemente nel futurismo si troverà lo stile italiano dove i lavori plastici e nomatici che distinsero in tutti i secoli le opere dei migliori artisti italiani, sono realizzate con forme originali, forti, geniali. Dico forti perché lo stile futurista, contrarissimo alle svenevoli sdolcinature ha trovato elementi plastici di alta potenza. Dico originali nel più vasto significato della parola perché il futurismo ha creato un’arte che rispecchiando la vita moderna in molti suoi aspetti ha guardato solamente dentro i labirinti del proprio cervello e della propria anima moderna, ha dato sfogo al proprio impulso creatore. Chiusi così tra cervelli e cuore, alimentati dal corso vertiginoso della vita moderna, il futurismo oggi può vantarsi di avere dato all’Italia lo stile futurista. Noi futuristi abbiamo la ferma convinzione che non ci potrà essere più fascistica espressione d’arte del futurismo poiché esso in arte è ciò che il fascismo è in politica, cioè arte audace, ardita, disciplinata che ha interpretato il dinamismo dei nostri tempi riuscendo nei suoi propositi di svecchiamento nel teatro, stenografia, musica, arti applicate, arti plastiche ecc. All’Estero esistono scuole, accademie, officine futuriste importantissime e il futurismo ivi rappresenta una grande fonte industriale e commerciale. Quindi oggi discutere ancora sul perché sul ma è deficienza assoluta e lentezza celebrale, dopo che l’Europa intera è quasi infestata dall’arte futurista.
Introduzione al catalogo della Mostra d’Arte Futurista Nazionale, Palermo 1927
«Il Popolo di Sicilia», Palermo, 15-3 I maggio 1927, p. I.
Questa mostra d’arte futurista organizzata dal sottoscritto, accoglie le opere dei più interessanti pittori futuristi italiani che hanno partecipato a importantissime esposizioni italiane e mondiali.
Parlare di futurismo vuol dire parlare della giovinezza che riassume la rinascita della vita italiana. Sorpassato il periodo polemico, superati gli ostacoli che i passatisti avevano posto sul nostro cammino, il futurismo oggi si avvia verso gloriose mete e verso destini d’infinito lirismo. Pittori appartenenti alle glorie del passato che hanno sentito il bisogno di svecchiarsi, si sono uniti ai giovani. Su che cosa è basata la pittura futurista?
Soprattutto sull’originalità, sulla creazione, sulla modernità. Ogni opera dev’essere una creazione moderna: libertà completa, esplosione luminosa della fantasia, sintesi del travaglio interno-esterno dell’artista, manifestazione dell’arte senza regole fisse e limitazioni di argomenti, comprensione ed esaltazione della meccanica, la scienza, l’elettricità, la velocità, lo sport che fanno parte della nostra vita moderna, interpretazione della natura con originalissime forme tali da destare nuove emozioni evitando tutto ciò che richiama la fotografia. La pittura futurista non è accademica, non è schiava dei preconcetti artistici a misure stabilite. Il grosso pubblico finora indifferente od ostile, dovrà convincersi della sincerità della nostra arte, la più moderna fra tutte.
Gli attuali primitivi copiano i primitivi, i neo-classici intendono di rifare i classici, i naturalisti pretendono di copiare la natura.
Nessuno di questi gruppi ha raggiunto ancora la modernità e l’originalità del futurismo, ma restano di gran lunga inferiori al futurismo che trionfa in tutte le sue manifestazioni: nella scenografia, nelle arti applicate, nella decorazione, nella pittura (partecipazione alle Biennali Veneziane, Roma, Monza, quadriennale di Torino, “Novecento, di Milano, Mostre d’Arti decorative di Parigi, New York ecc.).
Con questa sua prima grande mostra futurista, Palermo entra finalmente nel numero delle città moderne.
Elisa Maria Boglino
Catalogo della Mostra d’Arte Futurista Nazionale, Palermo, 1927.
Mi sia permesso di andar fiero di avere, per il primo, fatto conoscere in Italia, l’opera di Elisa Maria Boglino, che, solo per le mie esortazioni, si decise ad inviare alla XVII Biennale di Venezia il dipinto «Maternità», accettato dalla Giuria ed in seguito meritatamente acquistato per la nostra municipale Galleria d’Arte moderna.
Da quel giorno la pittrice ha fatto parte, spiritualmente, di quel gruppo di artisti moderni siciliani che si sono prefissi il compito di rialzare il nome dell’Arte isolana; ultimamente ha esposto a Tunisi, nella Mostra organizzata dalla «Dante Alighieri». Prepara oggi una mostra personale alla «Galleria di Roma», organizzatore PM. Bardi.
Elisa Maria Boglino è nata nel 1905 a Copenaghen. Sotto la guida del Prof. Sigurd Wandel ha studiato in quella Reale Accademia. Le sue prime esposizioni sono quelle di Charlottemburg del 1925, del 1927, del 1929. La caratteristica principale di questa pittrice di modernissimo temperamento consiste nel rifuggire dalla grossolana piacevolezza dell’Arte dolce-borghese. Aristocraticissima è infatti la sua pittura, pensata al classico modo dei maestri italiani del Quattrocento e adatta, più che alla limitata tela, al vasto spazio delle pareti. E sapore di grandi affreschi, hanno infatti le sue creazioni, nelle quali la drammaticità e l’umanità intensa sono temperate in un nobile segno di lirismo e di misticismo. Quel carattere di universalità che è propria dell’Arte classica del Quattrocento italiano si rispecchia nelle pitture di Elisa Boglino, che pensa, ordina, controlla, costruisce secondo un senso diciamo quasi architettonico, scevro però di freddezza, anzi ricco di vita e di umanità. Ridotta la sua pittura all’essenziale, parsimoniosi i toni di colore, ben ritmati gli elementi e gli atteggiamenti, equilibrati i chiaroscuri, Elisa Boglino dà all’opera d’Arte solo l’indispensabile alla sua completa espressione, anche nel senso tecnico.
Guardate la scarna sintesi delle sue figure, il gran carattere che esse emanano, perfino nel disegno delle mani e dei piedi, la decisione degli atteggiamenti. «II buon Samaritano», dal gesto risoluto non sembra vero, lo è, vivo, deciso. Ma l’Arte di Elisa Boglino assume una maggiore intensità nei disegni. Antiborghesi, antiprofessionali, antiaccademici disegni, che sembrano a prima vista assurdi o caricaturali. Sono invece grandiosi originali e potentissimi. La personalità dell’artista scoppia in pieno nel pochi tratti arditi e risoluti dei bianco-neri. L’opera di questa originale pittrice dovrebbe essere di esempio non solo a molte donne artiste, avviate verso lo sciatto convenzionalismo della pittura borghese, ma anche a molti artisti uomini. Elisa Maria Boglino, col suo temperamento mascolino, audace, spregiudicato è senza dubbio la pittrice più originale che viva oggi in Sicilia ed io sono fiero di poterne fare oggi la presentazione.
Pina Calì
Catalogo della Terza Mostro del Sindacato Siciliano Fascista di Belle Arti, Palermo, 1932
Pina Calì «[…] è una giovane pittrice siciliana venuta su dalle mostre sindacali che si sono tenute in Sicilia. Ha partecipato a diverse esposizioni italiane e qualcuna all’Estero e la sua opera è stata molto apprezzata e incoraggiata. Non dirà che la Calì abbia affrontato problemi difficili o abbia fatta della polemica, mi basta far sapere che questa pittrice ha una speciale colorazione che la pone in un livello di serietà e decorosità. La sua pittura asciutta e brutale, racconta scene, episodi, attimi di vita con semplicità. Alle volte si manifesta ingenua come se adoperasse i colori per la prima volta ma in verità questa giovane pittrice ha dipinto parecchio ed ha una padronanza di mestiere che non potrà sfuggire al visitatore. C’è nella sua opera una nota melanconica tipicamente siciliana e un fuoco nascosto pronto a divampare alla prima scintilla. Ecco perché Pina Calì è una pittrice sincera e sa raccontare con spontaneità senza mai perdere il controllo della sua origine. Le sue impressioni di mare, di campagna, espresse con selvaggia colorazione, fanno pensare ad artisti orientali, tale è le vigoria cromatica che dà alle sue visioni. La natura è per lei uno spunto assai fiacco per le sue visioni che realizza con materia assai aspra. Dovunque ella trova ombre, ombre intense anche quando il soggetto si presenta assai dolce. È forse, questo il suo sentimento particolare, la sua tendenza, il suo stato d’animo che noi dobbiamo rispettare ed ammirare perché dettato dalla sincerità. La sua produzione ci dice con quale passione questa pittrice lavori. Quando avrà dato sfogo al suo istinto pittorico e si sarà concentrata in poche tele e vi metterà tutta la sua esperienza Pina Calì potrà darci una più completa opera fatta di spontaneità ma anche di meditazione, di accurata sorveglianza e di controllo e sarà capace di raggiungere quell’equilibrio che ogni arte porta con se […]».
La Mostra degli Aeropittori al Teatro Massimo
Catalogo della Mostra personale della pittrice Pino Calì al “Bragaglia fuori Commercio”, Roma, 7-I6 marzo 1934.
Un rapido giro fu fatto, con Marinetti a Catania, Siracusa, Trapani dove si mostrarono alcuni saggi di pittura futurista. Ancora non avevamo trent’anni. Alla prima e seconda mostra del Sindacato Siciliano, il futurismo pittorico era rappresentato in pieno e molte di quelle opere oggi si trovano nelle pubbliche gallerie e nelle collezioni private. II presidente della primavera Siciliana, Principe di Spadafora, ha fatto bene, quindi, a promuovere l’originale manifestazione e merita perciò il nostro plauso più vibrante. Conoscevamo nel nobile uomo, l’amatore di arte antica ad oltranza, ma non potevamo supporre che sotto quella veste rigida e compassata si nascondesse l’assertore dell’arte di avanguardia la più accesa, l’ultimo ritrovato del futurismo, l’aeropittura.
Il Principe di Spadafora ha così dato prova, oggi, di possedere un cervello volitivo, versatile alle più impreviste invenzioni della pittura moderna, un animo rinnovabile, fresco, ardito, pieno di impeto e di calore. Questo linguaggio occorre interpretarlo come attestazione di vivo compiacimento giacché noi siamo per tutti coloro che si rinnovano, si perfezionano sempre, capaci d’intendere pienamente tutte le varie espressioni del moderno pensiero e, possibilmente, dei sentimenti di oggi. Oggi è la volta degli aeropittori e quando si parla di tali artisti bisogna riferirsi agl’intendimenti che vogliono raggiungere. Mi servo di alcuni brani del manifesto sull’aeropittura per ben mostrare al pubblico i principi dell’aeropittura. «Nel 1908 F T Marinetti pubblicò “L’aeroplano del papa”, prima esaltazione lirica in versi liberi del volo e delle prospettive aeree della nostra penisola dall’Etna a Roma, Milano, Trieste, L’aeropoesia si sviluppò con “Aeroplani” di Paolo Buzzi, “Ponti sull’oceano” di Luciano Folgore e “Caproni” di Mario Carli.
Nel 1919 il musicista Balilla Pratella realizza la prima aeromusica con l’opera “L’aviatore Dro”. Nel 1926 il pittore e aviatore Azari crea la prima opera di aeropittura “Prospettiva di volo” esposta alla Biennale di Venezia.
Nel 1929 il pittore Gerardo Dottori crea l’aeroporto di Ostia con una mirabile decorazione aviatoria futurista, impetuoso slancio di aeroplani nel cielo di Roma.» Il manifesto continua così: «Noi futuristi dichiariamo che:
– Le prospettive vive del volo costituiscono una realtà assolutamente nuova e che nulla ha di comune con la realtà tradizionalmente restituita dalle prospettive terrestri.
– Il pittore non può osservare e dipingere che partecipando alla loro stessa velocità.
– Dipingere dall’alto questa nuova realtà, imporre un disprezzo per il dettaglio e una necessità di sintetizzare e trasfigurare tutto.
–Tutte le parti di un paesaggio appaiono al pittore in volo: schiacciate, artificiali, provvisorie, appena cadute dal cielo.
-Ogni aeropittura contiene simultaneamente il doppio movimento
dell’aeroplano e della mano del pittore che muove matita, pennello o diffusore.
– Si giungerà presto a una nuova spiritualità plastica ex–tra terrestre.
– Noi futuristi dichiariamo che il principio delle prospettive aeree e conseguentemente il principio dell’aeropittura è un’incessante e graduata moltiplicazione di forme e colori con dei crescendo e diminuendo elasticissimi che
s’intensificano o si spaziano partorendo nuove gradazioni di forme e colori. Con qualsiasi traiettoria, metodo o condizione di volo, i frammenti panoramici sono ognuno la continuazione dell’altro, legati tutti da un misterioso e fatale bisogno di sovrapporre le loro forme e i loro colori, conservando fra loro una perfetta e prodigiosa armonia. Si delineano così i caratteri dominanti dell’aeropittura che mediante una libertà assoluta di fantasia e un ossessionante desiderio di abbracciare la molteplicità dinamica con la più indispensabile delle sintesi, fisserà l’immenso dramma visionario e sensibile del volo. Si avvicina il giorno in cui gli aeropittori futuristi realizzeranno I’«aeroscultura» sognata dal grande Boccioni, armoniosa e significativa composizione di fumi colorati offerti ai pennelli del tramonto e dell’aurora e di variopinti lunghi fasci di luce elettrica.»
Il manifesto così termina.
In questa mostra fanno parte lavori che sono stati esposti alla Biennale di Venezia e in altre importanti mostre tenute all’estero. Enrico Prampolini rappresenta il capostipite di una giovane famiglia. Egli è il pittore futurista italiano maggiormente conosciuto in Europa. Facendo la spola fra Parigi e Roma, quest’artista svolge un’attività meravigliosa in diversi rami del futurismo. È anche un impareggiabile scenografo moderno. Ha portato, in questo campo, delle innovazioni utilissime, pratiche ed artistiche, riscuotendo presso gli autori teatrali un grande consenso. Chiamato varie volte a far parte di importanti congressi internazionali ha saputo sempre bene assolvere il suo compito. Prova ne sia l’ultimo congresso «Volta».
Le opere di pittura di questo dinamico artista, fanno parte d’importanti collezioni private e pubbliche come pure, nelle principali gallerie d’Europa e d’America.
Nella pittura futurista Enrico Prampolini ha una personalità distintissima con trovate ed esperimenti tecnici considerevoli. Chi vuol sapere qualche cosa della tecnica non ha da interpellarlo. I ritrovati di questo pittore, il quale ottiene delle superfici preziose, di limpida materia.
Molti giovani pittori futuristi hanno appreso qualcosa da questo innovatore il quale indipendentemente dalle sue idee sull’arte possiede un gusto raffinatissimo e i suoi quadri sono sempre affascinanti.
In questa mostra Prampolini espone pochi pezzi ma in essi c’è un’intensa dose di lirismo pittorico, specialmente nelle interpretazioni di Capri. In questi paesaggi il pittore ha saputo rendere una leggiadria cromatica che sa di realtà e di mistero. Le rocce e il mare dì Capri sono state da Prampolini trasfigurate così magistralmente da intravedere in queste immagini la sottile visione del sogno che l’isola misteriosa ha dato ai poeti.
Anche Gerardo Dottori, esaltando periodicamente i paesaggi visti attraverso il volo, ha dato alla sua pittura un’impronta personale e gagliarda. Anche lui ha molto influito su alcuni giovani pittori futuristi. Prampolini e Dottori possono considerarsi i caposcuola di questo movimento artistico Italiano. Espongono alcune Interessanti pitture ispirate a soggetti religiosi Fillia e Oriani che fanno anch’essi dell’aeropittura.
Fillia ha già raggiunto una sua personale visione, Oriani arriva a trasfigurare in pieno le note scene della natività, ecc, con una sua efficace interpretazione piena di buon gusto. Egli ha qui tutta una mostra personale con cui dà l’idea chiara del suo nuovo mondo religioso e mistico.
Non v’è dubbio che entro queste composizioni vi sia oltre la trovata originale e nuova una intensità pittorica aderente al soggetto.
L’arte religiosa è intesa da Oriani e Fillia quale idealizzazione di simboli architettonici e spaziali di luci e ombre, raggiungere una purezza formale e cromatica che fu un tempo materia e umanità e trasformarsi poi in sogno celestiale. Ed ecco croci e torri, cielo, nuvole, abissi, grotte e insenature fondersi in una compatta forma che si libra nell’etere.
Gli elementi esterni si fondono con l’Interno. Sottili evanescenti nuvole grigioazzurro-rosate spezzettano miti e simboli, mentre larghe zone di atmosfere avvolgono nel mistero, nell’arcano, nel tragico gli elementi essenziali della scena.
Questo pittore, Oriani, merita una speciale considerazione poiché si sente nei suoi motivi il pittore che conosce bene il suo mestiere.
Lo Stesso dicasi per Fillia il quale ha raggiunto in questo campo superficie e profondità pittoriche meravigliose. Espone pure in questa mostra lo scultore Mino Rosso che abbiamo notato alla Il Quadriennale Romana. Egli interpreta con sintesi di piani la plasticità del volo racchiudendolo in una forma dinamica. Altri giovani si cimentano in questa nuova fase del futurismo e cercano di risolvere dei problemi pittorici trasfigurativi e reali che sono stati sempre l’assillo di molti artisti preoccupati di rendere qualche cosa superiore ma ispirata alla vita di oggi. Questi giovani si chiamano: Bruschetti, Ugo Pozzo, Dal Bianco, Carrera, Franci, Costa, Saladini.
Nel 1927 quando abbiamo portato a Palermo la grande mostra d’arte futurista, nella prefazione al catalogo abbiamo chiuso con queste precise parole: «Con questa sua prima grande mostra futurista, Palermo entra finalmente nel numero della città moderne».
Oggi queste stesse parole si possono ripetere in occasione della mostra degli aeropittori.
Questo nostro pubblico ha bisogno di vedere, conoscere tutte le moderne espressioni d’arte anche a solo scopo culturale.
È un’esercitazione culturale che fa molto bene. Per i giovani poi è uno stimolante di nuove sensazioni.
I giovani devono molto a Marinetti. Lo abbiamo sempre detto e scritto. Quest’uomo eccezionale è un animatore di italianità un propugnatore della genialità latina e mediterranea ed ha portato fuori la parola dell’Italia rinnovata.
Ha insegnato a molti giovani ad affrontare la vita e l’arte con coraggiosa
intraprendenza dimostrandosi, in questo caso, un grande maestro. Ha incoraggiato sempre i giovani più dotati li ha seguiti durante la loro ascesa con quella sua onestà proverbiale. Signore e semplice ad un tempo Marinetti è rimasto con l’animo del fanciullo senza atteggiamenti falsi o inopportune superbie. Egli è sempre fra i giovani, vive in quest’ambiente saturo di energie e marcia sempre avanti.
E stato il mio unico maestro.
II mio studio del 1921
«L’Ora», Palermo, 19 marzo 1935.
Nel mio studio c’è passata molta gente! Oggi l’ho guardato tutto, attentamente, mi è parso più grande del solito ma mi son sentito più solo, sperduto.
Nel mio studio vecchio e cadente sono passati tanti uomini e tante donne. Se li volessi rievocar tutti, non saprei come raccapezzarmi: ma ora è come se non ci fosse stato mai nessuno.
La folla è anche il deserto.
La gente dice che esso è abitato dagli spiriti che la notte si agitano come persone irrequiete. Il vicinato ne è convinto e mi considera come squilibrato perché da vari anni vi ho dormito. Non ricordo di aver dormito così bene altrove: gli spiriti erano forse i miei sogni e si erano trasferiti in me.
E inutile descriverlo. Occorrerebbe vederlo.
Un pittore straniero che un giorno volle venire con me nello studio, arrivato nella via si fermò a guardare una casa e mi domandò:
E questa la via?
Si, risposi.
II suo studio allora deve essere questo! – e indico la mia casa. Come ha fatto a indovinare? Gli ho chiesto.
Qui non può abitarci che un pittore!
I miei amici, artisti, mi hanno comunicato sempre la loro allegria, il loro riso, un riso aperto, rumoroso, giovanile. Bastava essere in due per ridere. E ridere di che? Chissà!
In compagnia non si pensava a nulla, si faceva il caffè o il the, si fumava, si suonava, si polemizzava, si gridava, si saliva sulle sedie per fare un discorso che poi per forza di cose si fischiava: si faceva un enorme chiasso e si rideva.
La gente che passava alle volte si fermava sotto il balcone e qualcuno diceva: – Ma che cosa succede lassù?!
La tristezza del mondo lassù si trasformava in riso, si liberava nella forma dell’arte – come la materia si libera nella luce.
Quanta gente è venuta nel mio studio? Di uomini ricordo molti donne, moltissime, di tutte le età, di tutte le categorie, di tutte le nazioni: bambine timide, modelle di professione o improvvisate, dame di grande casato, modeste donne, ecc. ecc.
Ogni donna ha qui lasciato un segno. È il mistero dell’arte. Tutto, passato, tutto è rimasto.
Era il centro, questo studio, dei giovani più audaci e più vivi della città. Arditi di guerra e futuristi, fascisti e legionari fiumani, si mescolavano alle volte fra i pittori, gli scultori, i poeti e i musicisti, giovani tutti animati di rinnovare l’Italia con il pugnale e con l’arte.
Questo cordiale cameratismo è rimasto anche dopo, nella vita, quando ognuno si indirizzò per la sua fatale vita.
Si faceva della politica,, moltissimo, una sola: quella del Fascismo perché eravamo tutti della stessa idea. L’ardito di guerra e il legionario fumano Gian Carramusa, a tarda notte entrava nello studio o dalla finestra o dal balcone dove credeva di fare più presto, portando sempre qualche cimelio tolto comunisti nelle varie spedizioni punitive alle quali prendeva parte. Questi cimeli completavano, accanto i quadri, la decorazione delle pareti.
Nel mio studio c’è tanta luce come pure tanto disordine per gli occhi della gente.
Che cosa è l’ordine? Siamo noi.
Spesso qualche modella per darsi da fare con risvegliati istinti casalinghi ha voluto metterlo in ordine come se fosse stata la casa di un borghese. Non c’è riuscita
In quel disordinatissimo ambiente pieno di quadri, di statue, di mobili, cuscini ho passato tanto tempo, E vi è uno stile, la sua bizzarria.
Non è la grazia che tutti capiscono, ma quella che fanno insieme la passione e la volontà, l’audacia e il movimento.
Quel mio studio scomposto rispecchia molto la mia vita intima e quando penso che dovrò lasciarlo sento mancare qualche cosa nel mio cuore. Sento di soffrire come per una grande rinuncia.
Eppure dovrò lasciarlo presto.
Ricordo il primo giorno.
Era allora abitato da un mio amico, Giovanni Varvaro uno di quei tipici artisti italiani genialoidi che sanno fare un po’di tutto e bene nel campo delle arti.
Era soprattutto un pittore, ma componeva musica e suonava sulla sua vecchia chitarra tre sue composizioni moderne che ai musicisti non dispiacevano e l’uditorio lo entusiasmavano. Aveva fatto due sculture e tre ceselli non affatto spregevoli, dipinto varie tele interessanti, seguito i movimenti d’avanguardia e non disdegnava di fare l’antiquario quando la letteratura futurista lo stancava. II nostro amico faceva dei versi a stagioni stabilite e fronte un quadro del 1400, dopo averlo illustrato, difendeva l’opera di Umberto Boccioni. Poi restaurava quadri antichi.
Lo incontrai in questo vecchio studio, lo ritornavo da un lungo viaggio dopo due anni di assenza e non avevo trovata casa. Mi offrì il suo studio per dormire. La sera, la prima sera, dopo di esserci raccontati un po’delle vicende passate, andammo a letto, stentavo a prendere sonno perché il mio amico mi aveva avvertito che nella casa c’erano gli spiriti che facevano rumore. Pensai un po’allo strano luogo dove dormivo, ma poi ripensando a quello che era capitato nella mia vita da zingaro, mi convinsi che gli spiriti non mi potevano fare tanto male quanto me ne avevano fatto gli uomini.
Dormii benissimo. L’indomani la stanza era inondata di sole e ciò mi diede un senso di gioia.
Mi piace, questo studio! – dissi all’amico.
Staremo insieme – fu la sua risposta.
Tutti gli artisti stranieri che visitavano Palermo, facevano sosta in questo studio che era l’unico cenacolo vivo che esisteva. Qualcuno di questi vi rimase a dormire per alcuni mesi. Lo trovavano assai comodo anche perché non si pagava nulla.
Il proprietario dello studio era un nobile signore che aveva concesso al mio amico di abitarlo per valorizzare la casa tenuta vuota dal 1870 a causa della cattiva fama che godeva per il motivo degli spiriti.
Negli ultimi tempi vi fu anche posto per un cane, un grosso cane che presto venne ammaestrato dai miei amici a tenere in bocca una grossa tavolozza da pittore. Questo cane spuntò una notte d’inverno senza che nessuno si fosse preoccupato di condurlo. Lo abbiamo visto apparire all’ingresso dello studio. Era tutto bagnato e vedendoci cominciò a scodinzolare e a fare tante piroette come se ci conoscesse da tempo. Si trovò un posto per dormire anche al cane e fu il solo personaggio che custodì lo studio.
Ma in questo ambiente di giovani irrequieti questo cane non trovò requie perché i miei amici si divertivano ogni tanto a cambiare il colore del suo pelo.
Un giorno mentre eravamo riuniti con diverse persone, molto serie, questo cane si presentò a noi tutto melanconico, ansante e a testa bassa. I presenti scoppiarono in una risata clamorosa che durò parecchi minuti. Il cane era completamente tinto in verde, le zampette e la coda in giallo.
Un grande vociare di ragazzi dalla parte opposta che dava in un giardino, disturbò però quel momento. Il cane prima di salire nello studio, aveva fatto un giro regolare per le vie adiacenti seguito da un buon numero di ragazzi i quali si divertivano a vedere quel cane trasformato sicché reclamavano, sotto il balcone, il cane che era oggetto del loro grande divertimento. Dovettero intervenire due guardie.
Un vecchio operaio che spesso veniva a fare dei lavori di falegnameria e che apriva la porta con disinvoltura, senza alcuna chiave, aveva sempre la gradita sorpresa di trovare gente nuova che dormiva nelle varie camere. Profittando delle abitudini dello studio pensò di trasferirsi anche lui, occupando un ammezzato in cui tenevamo vecchi arnesi da studio.
Costui era un vecchio garibaldino che a noi era simpatico il quale si era formato quel tipico gusto artistico coerente alla sua mentalità, che ci divertiva molto.
Per tanto tempo col mio amico abitammo insieme e lavorammo tutti e due là dentro, poi lui trovò un’amica e lasciò la casa per andare a dormire da lei. Si portò anche la chitarra che era l’oggetto principale per le sue conquiste amorose.
Lo studio restò a mia completa disposizione; a poco a poco l’ordinai e lo custodii come una cosa mia. Lo trasformai lentamente.
Per un mese di seguito non è stato mai lo stesso. Lo trasformavo sempre e lo addobbavo alla meglio.
La notte, quando mi ritiravo, ero sicuro di trovare dentro dei miei amici i quali conoscendo un piccolo segreto nella serratura della porta, salivano come se fossero in casa loro. Era il rifugio di coloro che volevano vivere, di gente annoiata del presente o che aveva in attivo alcune tragedie in via di elaborazione o episodi vissuti. Sicuramente questo studio non era frequentato da persone che stavano nella normalità.
Eppure dovrò lasciarlo, perché voglio rinnovare la mia vita. Voglio allontanare tutti i ricordi del mio studio e per allontanarli è necessario lasciarlo.
La gente maniaca ha bisogno, per guarirsi, di cambiare l’ambiente in cui ha vissuto; io per rinnovare la mia vita ho bisogno di cambiare studio. Ed è una esagerazione, mi direte.
Io invece voglio dimenticare tutti i fatti accaduti in quello studio, non voglio vivere di ricordi. Voglio rinnovare la mia [vita] d’artista in un nuovo studio che addobberò in modo del tutto diverso per non avere nessun richiamo di questo, voglio dimenticare anche questa fase della mia vita come ho dimenticato le altre di altri tempi.
Incominciare sempre di nuovo. Incominciare con animo rinnovellato con una più ferma volontà. Se così non fosse dovrei avere al mio attivo diversi omicidi e una quantità di nemici sul groppone.
In me questo triste conteggio del dare e dell’avere che spesso gli artisti hanno contabilizzato nei taccuini della loro carriera artistica, in me si annulla allo spuntare dell’alba, quella della mia vita rinnovata.
Sono un ottimista e un entusiasta anche quando la vita mi rechi amarezze. Sorpasso tutti gli ostacoli e tutte le miserie, percorro una strada con profonda sicurezza. Sono ormai come un vecchio parafulmine, abituato a ricevere la folgore con indifferenza. È anche un modo di vivere, questo!
lo voglio dimenticare tutte le persone che sono state e si sono fermate dentro la stanzetta attigua del mio studio in cui sono passati tanti uomini e tante donne, dove si è riso alla vita e all’amore, felici di libertà, in quello studio dove ho tanto lavorato.
Renato Guttuso
Cenacoli, paesaggi, incontri, Milano, Editrice La Tradizione, 1936, pp. 81-86.
Fra i pittori dell’ultima generazione, quelli cioè, venuti fuori nel clima e nell’atmosfera della nuova Italia fascista, Renato Guttuso occupa un posto preminente.
Questa convinzione mi viene dal fatto che il giovanissimo pittore possiede tutte le qualità necessarie per il raggiungimento del suo grande ideale artistico di cui si notano, sin da oggi, i segni certissimi, possiede cioè: ingegno, calore, fede, volontà.
Egli ha la visione perfetta del valore della pittura, ha la coscienza di valutare la cattiva pittura dalla buona nel senso eclettico ed universale senza limitazione ad un gusto compromesso.
II pittore è venuto su da varie esperienze soppesando il puro e l’impuro ed attraverso un lavoro ammirevole anti-commerciale ha trovato un suo mondo pittorico fatto d’impasti preziosi.
La pittura è un’arte che richiede controlli continui per non cadere nel voluto o nello stagnato e quando questo controllo non è frequente il pittore si chiude in un’atmosfera ferma che sa di camera mortuaria. Guttuso è invece un incontentabile ricercatore di valori pittorici e questo suo febbrile lavoro quotidiano ha reso il suo spirito elastico e vibrante nel ricevere le emozioni dirette.
Le sue continue scorribande tra Bagheria, Roma, Firenze, Milano, i contatti con gli altri giovani pittori italiani hanno maggiormente contribuito a intensificare l’origine della sua arte tipicamente mediterranea e siciliana e in questo meraviglioso controllo è la sua distinzione anche quando la sua arte possa apparire violenta prepotente e sfolgorante.
Ma la Sicilia non è fatta di violenze, prepotenze, sfolgorii?
Se il pittore dovrà rappresentare attraverso l’arte lo spirito, l’anima della sua terra, il Guttuso sarà fra questi poiché la Sicilia ha mille volti e mille anime che danno fascino alle cose e agli uomini, e non si dovrà più pensare alla visione esteriore delle coste e dei monti in una data ora del giorno e con una data luce. Bisognerà scendere nell’anima di questa terra contrastante e drammatica per comprenderne tutto il fascino che da essa emana.
Ma per svelarne gli intimi segreti occorrerà porsi davanti alla natura con animo fresco e rinnovellato per sentire in pieno le armonie nascoste che possiede questa grande terra spiritica e trascendentale, centro di miti e leggende e che si distacca nettamente dalle altre nello spirito e nella sostanza.
Quando si sarà compreso il valore della Sicilia attraverso alcune opere e segni lasciateci nel passato come i ritratti di Antonello e le metope di Selinunte, si comprenderà meglio lo spirito della nuova pittura e scultura siciliana. Ed allora si comprenderà l’arte di Renato Guttuso, di questo giovanissimo pittore che anni or sono ebbi l’idea di presentarlo al pubblico miscredente come un vivo temperamento di artista.
Da allora ad oggi ha fatto molto cammino e molto ne farà giacché ha davanti i suoi occhi la certezza di raggiungere una vetta fiammeggiante anche se questa sia in capo al mondo.
Dipende dalla sua volontà. lo sono certo di lui.
In morte di Marinetti
«La Centrale», Bagheria, febbraio 1937.
La morte di Marinetti l’ho appresa con dolore e mi ha reso molto triste per due ragioni: una per la sua fine nell’Italia del Nord, fra i tedeschi, due perché egli era un gentiluomo ed un onesto in mezzo a una masnada di ladroni. Ed è veramente triste il pensare che un italiano della tempra di Marinetti, propagandista del genio artistico italiano fosse finito così malamente, insultato da vivo, denso da morto. I giornali di Roma lo hanno certamente trattato male. Qualcuno ha detto che era un italiano onesto. E mi pare, oggi dì, sia troppo. Ma siccome militava con i fascisti, la sua sorte morale è segnata. D’accordo. Chi perde, paga. Ma da questo, a denigrarlo in modo malconcio, c’è molta strada.
Un articolo che mi è sembrato sereno e obiettivo è stato quello di un ex futurista Francesco Cangiullo e mi ha fatto tanto piacere leggerlo. Parlava dei pro e dei contro ma anzitutto faceva rilevare che Marinetti fu un artista e che all’Accademia d’Italia dove la sua disgrazia andò a finire non era inferiore a Beltramelli, Novaro, Ungaretti, Lucio d’Ambra ecc…
Lo stesso Cangiullo rileva che il futurismo da Marinetti fondato non è quello del “zin, zin ,”bum, bum”, mentre Giovanni Verga e Luigi Capuana dissero “Sono giovani che chiedono cento per ottenere cinquanta”.
Marinetti teneva al suo “movimento futurista come alla sua persona, quindi accanto a giovani di valore si mescolavano, inevitabilmente dei mediocri e dei dilettanti. E fu così che a un certo punto alcuni artisti sono usciti dal movimento ed anche il sottoscritto che, amante della più grande libertà artistica, non volle avere più legami con nessun gruppo.
Appunti su Picasso
Manoscritto inedito, 1944.
Mi trovo spesso a parlare con persone che vogliono spiegazioni su Picasso e la sua arte. Le domande, alle volte, non sono semplici, specialmente quando queste sono rivolte all’astrattismo, ed avrei anzi tanto desiderio di assistere a una discussione fra un critico d’arte e una di quelle signore che «s’intendono d’arte», proprio di Picasso poiché è naturale che ognuno vuoi sapere qualche cosa di questo astrattismo, ci vuoi capire un minimo, lo pretende.
Poiché nella passata Biennale si è dato così largo posto all’astrattismo gli organizzatori, i visitatori pensavano che un motivo importante vi sarà stato, altrimenti non avrebbero largheggiato di pareti e sale.
Essendo il maestro di questa «specialità», dicono loro, Picasso, vogliono delle spiegazioni precise, lucide, in considerazione che, queste persone, «non vogliono essere prese… in giro».Taluni ne fanno, persino, un fatto legale.
Vogliono comprare un quadro, ma prima di ogni cosa desiderano esaurienti spiegazioni sul merito dell’opera, vogliono sapere perché una figura ha un naso rovesciato in su e un seno che viene fuori dalla spalla. Pretendono sapere il perché in un quadro vi sono triangoli e rettangoli a non finire e si chiama astrattismo, mentre le linee e i triangoli, alle volte, geometricamente perfette sono delle «forme reali».
Questa brava gente parla in questo modo in tutti i posti, nei caffè, nelle mostre, nei salotti, nelle piazze.
A volte ho detto a queste persone che in cinque minuti non si può spiegare l’arte di Picasso, ci vuole una preparazione graduale, salire all’impressionismo, cubismo, al futurismo, e poi man mano arrivare alla grafia astratta all’arabesco ecc…
Di Picasso non si era visto prima di oggi nessun quadro originale, ma libri, riproduzioni e nessuno possedeva un quadro.
Chi ha visto un solo quadro del periodo «blu»? Uno del periodo «rosa»? e dei periodi susseguenti?
Picasso è l’artista più equilibrato ch’io conosca e che può, quando vuole, fare impazzire gli altri. Ecco, il suo segreto.
Difatti, osservate i vari periodi della sua arte, assimilata dai vasi etruschi, pitture pompeiane, sculture greche, fiamminghe, pitture catalane ricomposte con una fantasia estrosa, capovolgendo alle volte i valori plastici di primitive sculture, carezzando forme barbare, bagnandosi spesso a un classico all’acido prussico. C’è in tutto questo una sosta e una ripresa. Ma sapete perché? A parte l’insofferenza innata nell’artista, di nuove ricerche, c’è un divertimento al tempo stesso ch’egli si prende sul pubblico.
Poiché la sua fama acquisita sin da giovane varcò i confini, molti artisti seguivano la maniera di quel tale periodo. Ed allora Picasso, quando aveva già influenzato una generazione di artisti o una parte di essa, cambiava maniera e intensificava la nuova, la quale, manco a dirlo, era subito imitata.
Picasso dopo un po’cambiava e lasciava i neofiti con un palmo di naso.
Picasso odia i suoi imitatori, non li può soffrire e se qualcuno di questi giovani, invasato dalla sua arte, vuole a qualunque costo parlare con lui, «essere ricevuto», può essere sicuro che Picasso, se saprà di avere a che fare con un seguace della sua arte non lo riceverà mai.
Picasso è il fenomeno artistico di oggi.
Nello stesso momento che dipinge una figura neo-realista fa un quadro astrattista o semi figurativo, crea un arabesco che non ha nessun significato se non quello di una grafia capricciosa con dei colori quasi originali.
Che cosa è successo in questi ultimi tempi?
Molti giovani si sono versati al «Picassismo» facendo acrobazie fantastiche esagerando quanto aveva fatto Picasso in questi suoi «divertimenti» e «capricci» prendendo da lui la superficie e la manchevolezza.
Allora Picasso smise di dipingere iniziando una nuova attività, creando delle ceramiche e affermando che questo genere di arte seria è «più ardente alla vita».
Con questa violenta virata di bordo, questi giovani pittori e scultori sono rimasti delusi. Il maestro li ha ancora una volta abbandonati alla deriva.
Che cosa bisognerà fare?
La preoccupazione invade gli spiriti artistici più deboli. È un grave turbamento che ha della crisi. I triangoli, gli arabeschi, i rettangoli, gli angoli acuti, le campiture di azzurri e giallini nero e verde, bianco e marrone, i contorni netti, non andranno più, tutto da rifare e occorrerà ancora una volta cambiare strada.
Bisognerà fare ceramiche, aggiornarsi alla prossima Biennale. (lo sarò a posto: le ho fatte venticinque anni fa ma allora i tempi non erano maturi). Vedremo così più ceramiche che quadri e allora saremo sicuri che Picasso farà un’altra cosa: modellerà forse il vetro, l’alluminio, il legno, comporrà con la carta colorata come Matisse. (In questo ultimo genere sono anche preparato con lavori sempre di venticinque anni fa).
In un recente incontro, Picasso e Matisse si scambiavano le loro impressioni sull’arte di oggi e ridevano insieme dicendo che gli artisti di oggi, e specialmente i giovani, non sanno fare nulla di nuovo: imitano Picasso e Matisse.
Omaggio ai “Paladini”
«L’illustrazione siciliana», a.VI, Palermo, settembre-dicembre 1953, p. 12.
Quand’ero ragazzo uno dei miei divertimenti preferiti era il «Teatro dei pupi»; ma spesso non potevo assistere all’intero spettacolo perché mio padre, uomo rigoroso, non voleva che frequentassi quell’ambiente pieno di fumo e di baraonda.
Il «Teatro dei pupi» di quei tempi era, infatti, installato in un grande magazzino pieno di panche e di sedie rotte, e dove un pianino a manovella suonava, stonatissimo, due o tre pezzi che facevano da ornamento alle battaglie dei paladini e alle scene drammatiche dei vari episodi.
In quel curioso ambiente, frequentato da gente del popolo, io, di nascosto a mio padre, mi inserivo cauto e mi situavo in un angolo per non essere visto. Ma sul più bello, quando l’azione era giunta al suo punto culminante, una mano energica mi afferrava per il colletto e mi imponeva di filare a casa.
Era mio padre che, conoscendo il mio punto debole, sapeva dove rintracciarmi all’ora giusta. Così, quasi mai potei assistere con agio a una normale rappresentazione del «Teatro dei pupi», e mi rimase sempre, da adulto, un desiderio e un amore per quelle battaglie e quei simboli.
Dopo tanti anni ho assistito a rappresentazioni, che sono veramente degli spettacoli fantastici, divertentissimi e paradossali, che sanno inchiodare lo spettatore in una visione suggestiva e magica.
Con questa visione in mente e un antico desiderio insoddisfatto per questo tipo di teatro, ho voluto rendere un omaggio ai «Paladini» dipingendo scene che sono state tramandate dai pittori dei carretti e dei teloni del teatro dei pupi, accomunandoli a personaggi di oggi che per il loro costume o la loro divisa più mi hanno colpito.
Alla «Mostra del Mezzogiorno» tenutasi a Roma nel 1953, nella sala del folclore siciliano, vidi, il giorno dell’inaugurazione, due carabinieri in alta uniforme che guardavano un grande carro siciliano. Mi venne da lì l’Idea di dipingere quella scena, come l’altra di due suore di carità ferme a guardare una testata di carretto, così da formare un motivo pittorico originale.
Ecco come sono nati i miei «pannelli» che oggi presento e intendo fare un grato omaggio ai paladini che mi hanno sempre divertito e che oggi ho dipinti con gioia e con amore, in momenti di vera felicità, di umorismo e di candore.
Pippo Rizzo, con Presentazione di Raffaele Carrieri, Venezia, Edizioni del Cavallino, 1957